Saperi e pratiche tra autogestione e resistenza. Lotte territoriali e grandi opere

Traccia che sintetizza la relazione tenuta all’interno della sessione Anarchismo e nuovi movimenti del Convegno di Carrara (11-12 ottobre 2025) in occasione dell’80° della FAI – Anarchismo. Una storia globale e italiana 1945-2025.

Illustrare il rapporto tra movimenti sociali e grandi opere significa in prima battuta ricondurre il costrutto grandi opere al più onesto concetto di opere grandi. E cosa sono le opere grandi? Progetti e realizzazioni (tendenzialmente) caratterizzate da: ampia estensione temporale, vastità spaziale, pluralità amministrativa, complessità progettuale, grave impegno economico pubblico, pesante impatto socio-ambientale. Le opere grandi si qualificano d’altronde, prima che come infrastrutture, quali acceleratori della modernità sviluppista e delle procedure che normano le decisioni in tempo civile, fattori di stress alle maglie del diritto, cioè dispositivi di governo del territorio non convenzionali.

Opere grandi rima anzitutto con grandi eventi (eventi grandi?) con cui condividono diversi dei tratti principali. Questi ultimi si dispiegano tuttavia non nell’ambito infrastrutturale (per non dire del deposito nazionale delle scorie nucleari) quanto in ambito sportivo ed espositivo, giocando la carta dell’attrattività turistica e dell’internazionalizzazione. Oltre il perimetro degli obiettivi dichiarati possiamo riconoscere altre evidenze trasversali alle due politiche, tra cui è bene mettere in luce il carattere tattico del ricatto del binomio fretta/ritardo, l’evasione impossibile dalla fase eccezionalista, il ricorso (mai confortato da un bilancio ex-post) al piano discorsivo dell’economia della promessa.

Un ulteriore modo di avvicinare l’argomento prende abbrivio da due cruscotti pubblicati rispettivamente dal Ministero delle infrastrutture (osservacantieri.mit.gov.it ) e dalla Società Infrastrutture Milano Cortina 2026 ( simico.it ). Il primo portale sintetizza in pochi dati “muscolari” costi e tipologie delle opere censite: 112 opere pubbliche per complessivi 133 miliardi di investimento, di cui commissariate: 38 ferroviarie, 32 stradali, 22 di edilizia statale, 12 idriche, 5 portuali e 3 metrotranviarie. Forse più interessanti sono gli open data, anch’essi istituzionali, esposti nel Piano delle opere dei giochi olimpici invernali 2026: 98 interventi monitorati per 3,4 miliardi di investimenti (poco più della metà dell’intera partita olimpica) di cui 31 opere legate direttamente all’evento, e ben 67 di pura legacy, i cui cantieri prevedono la fine lavori (all’oggi) entro la primavera del 2033. Nella sola Lombardia sono allocati la metà dei cantieri e dei costi, con uno sbilanciamento tra opere effettivamente necessarie ai Giochi ed eredità di infrastrutture fossili, il cui rapporto è superiore a uno a dieci.

Non è mia intenzione entrare nei meandri della discorsività su legalità, trasparenza e criminalità, sempre anteposte a sbarrare ogni considerazione ulteriore e squisitamente politica. Olimpiadi invernali legali, trasparenti e rendicontabili è per altro il motto di alcuni dei critici del ticket Milano-Cortina 2026, altrimenti impegnati in iniziative anche di grande pregio, quali i dossier Open olympics. Si tratta, a mio parere, di parole chiave fragili e scivolose, criteri con cui si muovono guerre e si gestiscono pandemie. Un punto di attacco irriducibile a questo perimetro è: chi decide e con quali obiettivi. Ancora meglio: chi è escluso e chi paga dunque le conseguenze socio-ambientali delle scelte imposte. Queste domande sono fondamentali per evitare la trappola semantica del “servizio pubblico”, su cui si imperniano con insistenza le retoriche che vorrebbero equiparare improbabili ponti e sottoservizi del gas ad acquedotti e metropolitane.

Molte opere grandi sono sbagliate perché inutili, nocive, sovradimensionate, imposte (è il caso di TAV, Expo, autostrade, TAP…) ma specialmente non sono pensate in una prospettiva temporale ulteriore alla traiettoria politica dei decisori, e minano (piuttosto che implementare) altri interventi ordinari di tipo ferroviario, stradale, di fornitura energetica, alzando la soglia economica di accesso ai servizi. I movimenti sociali approcciano il tema dapprima svolgendo un compito squisitamente cognitivo (conoscere, comprendere, interpretare) e immediatamente si trovano di fronte alla sfida di nobilitare il NO, che nel discorso pubblico rischia sempre di essere schiacciato in zona nimby se non tacciato di conservatorismo, quale imprescindibile punto di avanzamento per restituire alle comunità il tempo della comprensione, della presa di parola, dell’intervento trasformativo. Così subentra, in seconda battuta, la fase attiva della contronarrazione e della cassetta degli attrezzi comunicativi e fattivi della protesta, inclusa la rottura del ricatto delle alternative. Nel caso delle olimpiadi invernali sono state proposte, nel corso del Novecento, innumerevoli alternative: ridurre le dimensioni dei giochi, la loro densità temporale, realizzarle sempre nello stesso luogo, fino all’opzione zero del non farli più e basta. Le alternative sono tali quando mettono in discussione il progetto stesso, non quando lo legittimano a fronte di piccoli correttivi che evitano di rispondere alle domande su utilità, consenso, adeguatezza al tempo presente dell’iniziativa.

Le lotte territoriali sono il terreno privilegiato della contestazione alle opere grandi. In questo campo, quello del passaggio dalla critica alla resistenza, dà infatti un’opportunità due volte trasformativa. Da una parte si muta l’opera oggetto d’interesse (in forza di controinformazione, denuncia, boicottaggio, sabotaggio..) e d’altra parte, nella convergenza possibile di sensibilità e culture politiche, evolvono le soggettività che vi partecipano producendo e condividendo saperi, tecniche ed esperienze di lotta. Tutta la storia del Paese è storia di opere grandi: dal Frejus nel 1870 a Venaus 2005, passando per i primi scioperi al traforo del Sempione nel 1905.

Ma ci sono degli ostacoli che vanno come minimo tenuti presente. Lo spettro degli anni bui, in un paese che ha un problema irrisolto con la violenza politica. I dispositivi di cattura (vecchi e nuovi) tra cui è bene ricordare, a volo d’uccello, i reati associativi, il retaggio fascista del reato di devastazione e saccheggio, il crescente ricorso ai reati amministrativi, il DL Sicurezza, la direttiva Piantedosi contro gli spazi sociali di autogestione, i fogli di via, le zone rosse e i daspo urbani. La variabile tempo intergenerazionale, che può essere talvolta alleata ma resta sempre, anche, nemica. L’accettabilità, è questo un tema che interroga in particolare le componenti libertarie, del ricorso a strumenti legali ed amministrativi nel tentativo di inceppare la mega-macchina. La transdisciplinarietà delle cose da sapere. L’evidenza tardiva dell’iniziativa speculativa, talvolta visualizzabile solo nella fase “terminale” di accantieramento. Negli ultimi anni i movimenti sociali e territoriali sono stati anche investiti da una nuova scuola di climattivist* più vicina alle istanze scientifiche, a pratiche di disobbedienza civile, all’immaginazione di strumenti istituzionali (quali i fondi di riparazione) e connotati da forte ricorso alla mediaticità, che hanno aperto una dialettica sulle forme dell’opposizione non sempre comoda per chi resta saldamente ancorat* ad una traiettoria libertaria, eppure certamente stimolante. È forse tempo di un nuovo patto di mutuo appoggio, e non solo soccorso, perché abbiamo un dannato bisogno di vittorie che infondano fiducia, di sedimentare e apprendere, di casse di resistenza legale, di metamorfosi di alcune liturgie inefficaci. Non va dimenticato che il presente che abitiamo, anche quando appare irriconoscibile al paragone con bisogni e aspirazioni, è espressione di un negoziato perpetuo tra il dissenso e la voracità del capitale, della legalità liberticida, dell’interesse di pochi sulle spalle dei molti. Non ci assomiglia, ma specularmente non somiglia all’aspetto che avrebbe senza questa ostinazione trasformativa.

Alberto (abo) Di Monte

bibliotecaria.noblogs.org

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